«Verso qual meta si deve viaggiare»
Lettura dell’aforisma 223 da Opinioni e sentenze diverse di Friedrich Nietzsche
Giuliano Campioni
1. Umano troppo umano segna un punto d’inizio del filosofare di Nietzsche che si lascia definitivamente alle spalle ogni opzione metafisica e dichiara la necessità della filosofia storica legata alle scienze della natura. Nel primo periodo, all’ombra di Schopenhauer e di Wagner, storia e scienze della natura erano state insieme combattute per il loro carattere disgregante, pericoloso per la vita. Contro Schopenhauer, che contrapponeva filosofia e storia, Nietzsche non rinuncerà più al tentativo di un filosofare storico: «la sola filosofia che ha per me ancora valore è la forma più generale della storia, il tentativo di descrivere in qualche modo e di abbreviare con segni il divenire eracliteo» (eKGWB/NF-1885,36[27]).
2. Questa riflessione trova i frutti più maturi nella Genealogia della morale che radicalizza le posizioni e la direzione indicata da Umano troppo umano: si tratta di illuminare le macchine che stanno dietro la menzogna dell’immediatezza e della metafisica, di andare contro l’opinione di «un’origine miracolosa» per le cose stimate superiori «che scaturirebbero immediatamente dal nocciolo e dall’essenza della “cosa in sé”» (eKGWB/MA-1). Il metodo genealogico ama «il grigio», «il documentato, l’effettivamente verificabile, l’effettivamente esistito» (eKGWB/GM-Vorrede-7). Ciò che era posto come primum, come originario, adesso è costretto a dire la sua storia, come sia divenuto e si sia formato attraverso scontri di forze, come null’altro sia che momentanea solidificazione, equilibrio di potenze.Genealogia della morale è forse il risultato più maturo e articolato dello scavare di Nietzsche nei meccanismi di violenza e repressione che formano, in tempi lunghissimi, la comunità «naturale». Ciò che nei primi scritti era «natura», istinto primitivo, adesso è posto come risultato di una lunga e dura disciplina.Genealogia della morale raccoglie e organizza, per molti aspetti, il lavoro «storico» iniziato con Umano troppo umano. Vi si mostrano gli effetti produttivi del potere, le macchine che non appaiono, con quali spaventosi mezzi l’animale libero e senza memoria cosciente divenne l’individuo capace di far promesse, di vivere in società. Nietzsche si rifiuta ora ad ogni semplificazione: sa che la «parola» è spesso strumento per nascondere l’ignoranza del processo e perpetuare errori vantaggiosi per il dominio dato.
3. Ma, rispetto alla successiva direzione critica e nichilistica legata all’esercizio forte dell’analisi, nel periodo di Umano troppo umano la storia e la scienza appaiono non solo strumenti di liberazione dall’irrigidimento mitico, ma anche strumenti privilegiati per una possibile costruzione umano «generica». Per cogliere la specificità della concezione della storia in questo periodo, vorrei analizzare alcuni temi che emergono dalla lettura dell’aforisma 223 di Opinioni e sentenze diverse, aforisma significativo proprio perché non eccentrico.
4. Verso qual meta si deve viaggiare. L’immediata osservazione di sé è ben lungi dal bastare per conoscere se stessi: abbiamo bisogno della storia, giacché il passato continua a scorrere in noi in cento onde; noi stessi infatti non siamo se non ciò che in ogni attimo sentiamo di questo fluire. Anche qui anzi, se vogliamo tuffarci nel flusso del nostro essere apparentemente più peculiare e personale, vale il detto di Eraclito: che non si scende due volte nello stesso fiume. È questa una saggezza che, anche se divenuta a poco a poco vecchia, è tuttavia rimasta tanto robusta e nutriente[1] quanto lo fu un tempo: altrettanto dell’altra secondo la quale, per capire la storia, si devono visitare i residui viventi delle epoche storiche – si deve viaggiare, come viaggiò il padre Erodoto, nelle nazioni – queste sono infatti solo gradi di civiltà più antichi, che si sono fissati, e su cui si può posare – tra le popolazioni cosiddette selvagge e semiselvagge, specie là dove l’uomo ha smesso, o non ha ancora vestito, l’abito dell’Europa. Ci sono comunque ancora un’arte ed uno scopo del viaggiare più sottili, che fanno sì che non sempre sia necessario andare di luogo in luogo e percorrere migliaia di miglia. Molto probabilmente gli ultimi tre secoli sopravvivono ancora in tutte le loro sfumature e rifrazioni culturali anche in nostra vicinanza: essi vogliono solo essere scoperti. In molte famiglie, anzi in singoli uomini, gli strati giacciono ancora sovrapposti in modo bello ed evidente: altrove ci sono fenditure della roccia più difficili da capire. Certo in contrade remote, in vallate montane meno conosciute e in comunità più chiuse, un venerabile campione di un sentimento molto più antico si è potuto più facilmente conservare, e qui deve essere rintracciato: mentre è per esempio improbabile fare tali scoperte a Berlino, dove l’uomo viene al mondo svotato e insensibile. Chi, dopo lunga esercitazione in quest’arte del viaggiare, è diventato un Argo dai cento occhi, accompagnerà alla fine dappertutto la sua Io – voglio dire il suo ego – e riscoprirà, in Egitto e in Grecia, in Bisanzio e in Roma, in Francia e in Germania, nel tempo dei popoli nomadi o di quelli stabili, nel Rinascimento e nella Riforma, in patria e all’estero, anzi in mare, bosco, pianta e montagna, le avventure di viaggio di questo ego divenente e trasformato. Così la conoscenza di sé diventa conoscenza del tutto in relazione a tutto il passato: come, secondo un’altra concatenazione di considerazioni, qui solo accennabile, la determinazione e l’educazione di sé degli spiriti più liberi e lungimiranti potrebbe un giorno diventare determinazione del tutto in relazione a tutta l’umanità futura (eKGWB/VM-223)
5. L’inizio dell’aforisma si presenta come una decisa autocritica rispetto alla iniziale posizione schopenhaueriana ed alla pretesa del genio di arrivare, attraverso una immediata intuizione, al cuore del mondo. La critica a questo «miracolo» si sviluppa in più aforismi: nelle Inattuali e, in genere, negli scritti giovanili, si trova una decisa contrapposizione tra la considerazione storica ed una conoscenza immediata della realtà che passa attraverso l’esercizio del «conosci te stesso».
6. Chi lascia che tra sé e le cose si frappongano concetti, opinioni, cose passate, libri, chi dunque, nel senso più largo della parola, è nato per la storia, non vedrà mai le cose per la prima volta; ma queste qualità fanno certamente parte di un filosofo, perché egli deve trarre da se stesso la maggior parte degli insegnamenti e perché egli serve a se stesso come l’immagine e il compendio di tutto il mondo (eKGWB/SE-7 [2])
7. Il sapore di autocritica nell’aforisma 223 è ancora più avvertibile se pensiamo alla caratterizzazione finale della figura di Eraclito nella Filosofia dell’epoca tragica dei Greci in cui il filosofo, che rappresenta il tipo più alto e ideale, è «un astro privo di atmosfera»:
8. il suo occhio fiammeggiante rivolto all’interno, guarda invece solo apparentemente, spento e glaciale, verso l’esterno […]. Non aveva bisogno degli uomini, neppure per le sue conoscenze […]. Egli parlava con disprezzo di questi uomini che interrogano e raccolgono, in breve degli uomini «storici» (eKGWB/PHG-8)
9. A questi contrapponeva uno sdegnoso «Ho cercato e indagato me stesso», realizzando così il precetto delfico «Conosci te stesso» (eKGWB/PHG-8 [3]).
10. Ancora è in primo piano la valorizzazione del genio fatta da Schopenhauer: Nietzsche ripete, quasi alla lettera, l’immagine che ne aveva dato Wagner nel suo saggio del 1870 su Beethoven in cui il musicista, chiuso al mondo esterno, veniva paragonato al veggente cieco Tiresia che trovava il mondo in se stesso, in cui l’occhio «interiore» rivelava il fondamento dei fenomeni[4]. A questa mitologia del «genio», significativamente Nietzsche contrappone ora, come premessa necessaria, la necessità di una lenta accumulazione di energia ed una ricchezza di esperienze assimilate in una forma superiore:
11. Anche il genio non fa nient’altro che imparare, prima a porre le pietre e poi a costruire, che cercar sempre materiale e plasmarlo continuamente. Ogni attività dell’uomo è complicata fino a sbalordire, non solo quella del genio: ma nessuna è un «miracolo» (eKGWB/MA-162)
12. Per l’insieme delle sue dottrine, invece, Eraclito già era valorizzato da Nietzsche proprio in funzione antischopenhaueriana e come espressione di una considerazione storica della realtà. Il breve scritto postumo del 1873 Il pathos della verità (eKGWB/CV-CV1) presenta Eraclito come il filosofo capace di svegliare il dormiente dal sonno della metafisica. E ciò proprio in contrapposizione alla «schopenhaueriana» dottrina di Anassimandro, che facendo sorgere per una caduta il determinato dall’indeterminato, il temporaneo dall’eterno, si avvolgeva in una profonda «notte mistica» che solo Eraclito poté illuminare. La filosofia nietzscheana fa, in tutto il suo percorso, una complessa lettura della figura e del pensiero di Eraclito: qui vorrei analizzare solo alcuni punti per la comprensione di questo aforisma. L’Eraclito di Nietzsche afferma un’unica realtà, «un unico mondo ondeggiante al bronzeo rintocco del ritmo», che «non rivela da nessuna parte una permanenza, un’indistruttibilità, un baluardo che si opponga alla corrente»(cfr. eKGWB/PHG-5).
13. Non esiste una terraferma nel mare del nascere e del perire. Questo divenire si caratterizza per Nietzsche, di contro alla semplicità ed alla falsa trasparenza delle essenze metafisiche fuori del tempo e dello spazio, per la complessità delle sue relazioni. Per Eraclito «l’unità è la pluralità» (eKGWB/PHG-6), «a ogni momento luce e tenebre, amaro e dolce si avvinghiano strettamente tra loro, come due lottatori, ciascuno dei quali riesce alternativamente a ottenere il sopravvento. Secondo Eraclito, il miele è al tempo stesso amaro e dolce, e il mondo stesso è una mistura che dev’essere continuamente agitata». Le cose sono «il lampeggiare e la scintilla tra due spade che si cozzano, sono il fulgore della vittoria nella lotta fra due opposte qualità» (eKGWB/PHG-5).
14. Della concezione del tempo di Schopenhauer che Nietzsche avvicina a quella di Eraclito, si sottolinea in realtà non l’elemento nullificante, lineare o ciclico, ma la complessità delle relazioni per cui ogni attimo porta in sé tutto il passato e le potenzialità del futuro: è già in questo senso «attimo immenso[5]». Non a caso emerge il nome di Eraclito per caratterizzare, in Wagner a Bayreuth, la ricchezza e la complessità del fiume musicale, una festa di relazioni che potenzia ed allarga agli estremi l’espressione, di contro all’«omogeneità» e convenzione delle forme precedenti.
15. Nel primo periodo, gli effetti del pensiero di Eraclito (verso cui Nietzsche prova ancora timore ma di cui subisce anche il fascino), sono assimilati a quelli della scienza e della storia, «visione terribile, che stordisce, ed è assai affine alla sensazione con cui, durante un terremoto, si perde la fiducia nella solidità della terra». Ma confrontarsi col flusso, arrivare ad affermarlo senza rifuggire nella creazione di un «essere», appare già in questo scritto, una prova di forza: «Occorreva una forza stupefacente, per trasformare questa impressione in un sentimento contrario di sublimità e stupore felice» (eKGWB/PHG-5 [6]). Alla disgregazione della personalità del discepolo di Eraclito che non crede più al suo stesso essere e risolve il soggetto in un flusso puntiforme di sensazioni, il rimedio appariva, nel periodo delle Inattuali, l’oblio attivo ed il ricorso al fondamento illusorio del non-storico e del sovrastorico. Ora, nel periodo di Umano troppo umano, invece Nietzsche caratterizza la precedente opzione verso l’ideale e il mito come fuga rispetto alla realtà, espressione della impotenza propria dell’uomo moderno.
16. Ciò che dissi contro la «malattia storica», lo dissi come uno che di essa imparava lentamente, faticosamente a guarire, e che a nessun costo era disposto a rinunciare in futuro alla storia solo perché in passato aveva di essa sofferto (eKGWB/MA-II-Vorrede-1)
17. Non si tratta più di subire come un peso e una minaccia di disgregazione le molteplici forze della storia ma, proprio attraverso il dominio e l’incorporazione di queste forze, arrivare ad una forma superiore e più ricca. Questa apertura al mondo dell’esperienza e della storia, intesa come progressiva espansione di energia, riporta Nietzsche nelle vicinanze di un autore che gli era sempre stato caro, ma che non avremmo creduto di trovare in questi scritti di terapia antiromantica: Emerson.
18. La maggior parte delle immagini e delle metafore da Nietzsche utilizzate in questo o in altri aforismi che hanno al centro la riflessione sulla storia, rimandano senza ombra di dubbio, all’influsso di questo «mistico per amore del misticismo», come lo definì, in una sua impaziente critica Allan Poe che, ironicamente, più volte ha messo in luce l’inconsistenza del procedimento per allusioni di Emerson («insinuate tutto, non asserite alcunché») la sua pretesa di percepire la natura delle cose molto più a fondo di chiunque altro, attraverso una specie di «seconda vista[7]». Nei frammenti postumi del periodo di Aurora e della Gaia scienza restano molti significativi estratti da alcuni saggi di Emerson e una serie di appunti scritti in epoche diverse sulle pagine di questi stessi saggi. Più volte Nietzsche afferma di sentirsi a suo agio e come «a casa» con Emerson, «non ho il diritto di farne l’elogio: lo sento troppo vicino» (eKGWB/NF-1881,12[68]); inoltre lo definisce «maestro della prosa» (eKGWB/FW-92) e ne loda la fecondità. Sorprende un giudizio così positivo su un autore giudicato spesso contraddittorio nelle sue considerazioni filosofiche e, alla fine, monotono nel suo stile retorico in cui il flusso dell’eloquenza (i suoi saggi sono conferenze tenute ad un pubblico a scopo di edificazione) si presenta poi, in realtà, come una successione continua di aforismi. Nietzsche coglie anche dei limiti in questo eccesso di retorica e li attribuisce al nefasto influsso di Carlyle, «lo scrittore peggiore di tutta l’Inghilterra», verso cui il filosofo tedesco ha sempre mostrato una decisa ostilità. «Emerson, l’americano più fecondo si è lasciato sedurre a quello sperpero privo di gusto che butta dalla finestra a piene mani idee e immagini» (eKGWB/NF-1879,41[30]). Se gli scritti di Emerson sono serviti, come spesso succedeva a Nietzsche con autori anche minori, come serbatoio di immagini, metafore, espressioni utilizzate in tempi diversi, una certa consonanza di temi è mostrata anche dalle citazioni di Emerson utilizzate già nelle Inattuali oppure per il motto della prima edizione della Gaia scienza: «Emerson dice secondo il mio cuore: al poeta, al filosofo come al santo tutte le cose sono amiche e sacre, tutti gli avvenimenti utili, tutte le giornate sacre, tutti gli uomini divini» (eKGWB/NF-1882,18[5] [8]). Già questa affermazione, tratta dal saggio Storia, bene esprime il sentimento della guarigione, che caratterizza Aurora e Gaia scienza, la conseguente apertura al mondo nella direzione della «virtù che dona» e «il sacro dire di sì» di Zarathustra (eKGWB/Za-I-Verwandlungen): quest’ultima espressione rimanda ancora a Emerson[9].
19. L’aforisma 223 preannuncia questi temi. Già la prima affermazione rimanda ad una serie di considerazioni più volte sviluppate da Emerson, in particolare nel suo saggio sulla storia. Nietzsche stesso, in un suo quaderno dell’82 annota alcune di queste affermazioni: «in ogni azione si trova la storia sommaria di tutto il divenire» (eKGWB/NF-1882,17[1]). Questa affermazione è accompagnata dall’espressione «ego» che comprova l’accordo pieno di Nietzsche e che si trova spesso sui margini dei libri della sua biblioteca. «Voglio vivere nella mia persona tutta la storia e assimilare tutta la potenza e la violenza senza inchinarmi davanti a un re o a qualsiasi altra grandezza» (eKGWB/NF-1882,17[4]); «L’istinto creatore dell’anima si rivela nel vantaggio che sappiamo trarre dalla storia: vi è solo biografia. Ciascun uomo deve conoscere tutto il suo compito. Al posto di “là” e “allora”, che debbono scomparire perché sono un’arbitraria e assurda rozzezza, debbono subentrare “qui” e “ora”» (eKGWB/NF-1882,17[5]).
20. Oppure ancora:
21. La storia è un’assurdità e un’ingiuria, se vuole essere qualcosa di più di un piacevole racconto e di una parabola del mio essere e divenire. Con gli occhi rivolti indietro, l’uomo rimpiange il passato oppure si alza sulla punta dei piedi per prevedere il futuro ma egli dovrebbe vivere con la natura nel presente, elevandosi al di sopra del tempo (eKGWB/NF-1882,17[34] [10])
22. Questi appunti sono posteriori ad Opinioni e sentenze diverse (dove si trova l’aforisma di cui stiamo parlando) ma Nietzsche mostra di conoscere bene lo scrittore americano fin dal 1862: i primi tentativi filosofici, che hanno per oggetto il tema della storia, del fato e della libertà, sono per molti aspetti una riflessione e spesso una parafrasi fedele di temi emersoniani. In particolare Nietzsche utilizza e discute esplicitamente Das Fatum, il primo saggio della raccolta Die Führung des Lebens (Leipzig 1862). Già allora il tema, con una continuità che può sorprendere, era quello del dominio del passato sullo sfondo di una visione energetistica che ha al suo centro la volontà dell’uomo.
23. Uno scontrarsi e un ondeggiare tra correnti diverse, con alta e bassa marea tutte affluenti verso l’oceano eterno. Tutto si muove in circoli immensi, che si allargano sempre più l’uno attorno all’altro, l’uomo è uno dei circoli che si trovano più all’interno […] Appena fosse possibile rovesciare con una forte volontà tutto quanto il passato del mondo, entreremmo nella schiera degli dèi indipendenti (BAW 2, pp. 57 e 58[11])
24. Ma non c’è solo questo. In un quaderno dell’autunno del 1878, quindi di preparazione al secondo volume di Umano troppo umano, troviamo estratti da Emerson, alternati a riflessioni collegate, a mio parere, proprio alla lettura di quest’autore.
25. Un altro tema dell’aforisma 223 è il tema consueto della vicinanza tra l’esperienza storica e il viaggiare. Nello spazio è possibile trovare i residui viventi delle trascorse epoche storiche, fare esperienza di costumi diversi relativizzando il proprio e moltiplicando le anime nel petto. Nell’aforisma 211 (eKGWB/VM-211) questo atteggiamento, legato ad un impulso alla libertà, contro «gli intelletti legati e radicati» viene definito un «nomadismo intellettuale» (das geistige Nomadenthum). L’espressione, come conferma un appunto di Nietzsche, è di Emerson ed è tratta dal saggio sulla Storia: «Il nomadismo intellettuale è il dono dell’oggettività, oppure il dono di trovare dappertutto uno spettacolo dilettevole. Ogni uomo, ogni cosa è una mia scoperta, è mia proprietà: l’amore che lo anima per tutto gli appiana la fronte» (eKGWB/NF-1882,17[13] [12]). In un altro frammento del 1878, Nietzsche definisce lo stato d’animo del viandante con le parole di Emerson.
26. Emerson dice: «Il valore della vita risiede nelle sue insondabili capacità: nel fatto che io non so mai, se sto diventando un individuo nuovo, che cosa mi può capitare». Questo è lo stato d’animo del viandante. Importante in Emerson p. 311, la paura della cosiddetta scienza – il creatore penetra dalla porta in ogni individuo (eKGWB/NF-1878,32[15] [13]).
27. Il viandante arricchisce la sua esperienza tramite un viaggiare senza meta fissa che comporta uno stato di precarietà e di incertezza, l’esperienza della storia del viandante si contrappone, oltre che alla linearità e sicurezza di un processo cumulativo, a quella «dell’ozioso raffinato nel giardino del sapere» (eKGWB/HL-Vorwort), che ha bisogno della storia per riempire il suo vuoto interiore e caratterizza il dilettantismo voluttuoso e ammiccante di Renan («profumato e gaudente della storia», eKGWB/GM-III-26. Del resto, l’immagine del giardino ha in sé l’elemento rassicurante di qualcosa addomesticato a misura dell’uomo). Su questo tema del viandante si può segnare, però, già la profonda differenza e inconciliabilità tra il mistico e religioso-profetico Emerson (sia pure di un misticismo improntato a elementi di attività e di affermazione del mondo) e la posizione di Nietzsche. Questi mette in primo piano la necessità di un’esperienza reale empirica, molteplice, la permanenza di stadi anteriori, situati nello spazio, la compresenza di più livelli storici. Questo atteggiamento troverà il suo sbocco maturo nell’indagine della Genealogia [14] .
28. Qui si mostrerà la costruzione, attraverso la pluralità, di un soggetto che mantiene in sé la ricchezza delle esperienze (il modello privilegiato è quello del corpo). Per Emerson all’esperienza nomadica si può contrapporre, con altrettanto o maggior profitto, una esplorazione «sedentaria» dell’io: «al mondo primitivo o mondo anteriore io posso giungere immergendomi in me stesso» [Versuche, cit., p. 17], sembra cioè trovare nelle esperienze della storia sempre l’eterno elemento umano («la Superanima», «l’eterno Uno» etc.) e nulla è più lontano di questo da Nietzsche.
29. L’atteggiamento di Emerson è fortemente debitore dell’idealismo romantico. Se Nietzsche ripete, per alcuni tratti, il modello goethiano del Wilhelm Meister, Emerson si avvicina di più all’interiorizzazione della storia dell’Heinrich von Ofterdingen di Novalis:
30. Mi pare di vedere due strade per giungere alla scienza della storia umana. L’una, faticosa e a perdita di vista, con innumerevoli giravolte, la strada dell’esperienza; l’altra, quasi soltanto un salto, la strada della meditazione. (Novalis, Opere, a cura di Giorgio Cusatelli, Guanda, Milan, 1982, p. 145)
31. Risulta a mio parere una critica nei confronti di Emerson questa riflessione del 1878 intrecciata ad estratti da questo scrittore: «Poeti e filosofi fantasiosi sognano che la natura (animali e piante) possa essere intesa semplicemente per amore e intuizione, senza scienza e metodo. La stessa posizione verso l’uomo hanno i metafisici» (eKGWB/NF-1878,32[25]). Del resto Nietzsche sempre avrà una decisa posizione contro il misticismo, le cui spiegazioni passano per «profonde» e «non sono nemmeno superficiali» (eKGWB/FW-126). Nietzsche non vuol tornare indietro: la sua diffidenza verso gli aspetti «romantici» di Emerson è sostenuta dalla definitiva critica agli stessi aspetti presenti in Schopenhauer e Wagner.
32. Nietzsche continuerà a valorizzare, fino all’ultimo, il tema del nomadismo: ad esempio nelle riflessioni del 1888 sul Codice di Manu, conosciuto nella dubitosa traduzione del Jacolliot. Contro l’irrigidimento, la stupidità che investono anche (soprattutto) i livelli alti (ogni azione è giusta solo se conforme alla legge), la prerogativa della libertà e del movimento, paradossalmente, è negli esseri ibridi, i fuorilegge, nei Chandala: «devono aver avuto per sé l’intelligenza e anche una natura interessante. Essi erano gli unici che avessero accesso alla vera fonte del sapere, l’empiria». Nietzsche riassume così le sue critiche al codice di Manu: «manca la natura, la tecnica, la storia, l’arte, la scienza» (eKGWB/NF-1888,14[203]).
33. Proprio «la bestia caotica, impura, incalcolabile» (eKGWB/NF-1888,15[62]) ha la prerogativa del nomadismo, dello sperimentare, e costituisce l’unico elemento di movimento di quella solare comunità. Se Nietzsche valorizza la perfezione automatica dell’istinto e il macchinismo del complesso, vuole però evitare l’istupidimento che si accompagna come l’ombra alla forte organizzazione di potenza. Lo sperimentare è affidato ai «nuovi filosofi», agli spiriti liberi che solo in epoche dominate dal costume sono considerati «“nemici di Dio”, spregiatori della verità, “ossessi”»: «In quanto mentalità scientifiche, si era dei Chandala… Abbiamo avuto contro di noi l’intero pathos dell’umanità» (eKGWB/AC-13).
34. Nel periodo di Umano troppo umano, in primo piano è ancora il tema dell’esperienza, del raccogliere e dell’accumulare: di qui la centralità della figura del viandante. Il limite, l’orizzonte dello sperimentare è ancora fissato nella sicurezza dell’uomo generico. Lo spirito libero è ancora funzionale, in una certa misura, alle possibilità di un progresso della specie. È questo l’elemento di continuità tra lo spirito dell’Illuminismo e lo spirito diUmano troppo umano, mentre l’esercizio della giustizia storica, che apre l’accesso a molteplici esperienze, segna la radicale differenza[15].La riflessione dello spirito libero più che nella sperimentazione trova la sua forza nel sapere storico: ancora una sintesi di risultati da assicurare e da assimilare contro la forte presenza di spinte retrograde (il romanticismo, Schopenhauer, Wagner) più che una tracotante attività alternativa e creatrice che presupponga tale assimilazione per proseguire il cammino,
35. viaggiare, in ogni senso; “incostante e fugace” – per un certo periodo; di tanto in tanto riposare sulle proprie esperienze, digerirle (eKGWB/NF-1881,13[20])
36. Quando emergerà in Aurora e Gaia scienza il tema di uno sperimentare senza limiti, la figura del viandante lascerà il posto a quella più funzionale del navigante, alla figura di Colombo che, dominato dalla passione della conoscenza, è capace di aprire nuovi orizzonti a rischio del naufragio. (Forse lo stesso pensiero dei pensieri, l’eterno ritorno, appare all’orizzonte di Nietzsche come esperimento estremo, pensiero terribile da assimilare, da incorporare: per dare un «nuovo colore al cielo», inizio di un «nuova storia»).
37. Ma ancora, rispetto ai successivi esiti nichilistici, abbiamo in primo piano, più che l’elemento destrutturante della storia e della scienza, l’assunzione di una molteplice eredità positiva da parte di un ego che si fa rappresentante del genere. Questa possibilità universale è resa possibile dalla pluralità e complessità delle tradizioni in gioco di contro ad una tradizione che tende ad irrigidirsi in mito rassicurante e protettiva verso una certa forma di vita, oppure alla tradizione creata e imposta dal tiranno per dare una sanzione al suo potere attraverso una falsificazione sistematica della storia[16].
38. Già nei frammenti postumi del 1875-76 Nietzsche vedeva il limite della civiltà della polis nel suo fondamento: la forza tirannica del mito che irrigidiva la storia sia pure in una solare comunità. Dei filosofi presocratici veniva valorizzata la lotta contro il mito in una direzione sovraellenica e universale: con la fine della comunità «naturale» e la liberazione dell’individuo ha inizio la storia.
39. Nietzsche caratterizza, nell’aforisma 223, l’ego come risultato, con l’immagine, ancora una volta emersoniana, di «Argo dai cento occhi». Questo risultato è possibile trasformando ed ordinando il caos contraddittorio dell’uomo moderno in una forma superiore[17].L’ampiezza delle prospettive, la capacità di vedere con più occhi legata all’esercizio della giustizia, rimarrà una costante dei gradi più alti della volontà di potenza. E l’immagine dei molti occhi tornerà più volte. Ancora nella Genealogia della morale l’uomo della conoscenza è colui che «sa utilizzare, per la conoscenza, la diversità delle prospettive e delle interpretazioni affettive» (eKGWB/GM-III-12), non un occhio puro, privo di forze interpretative ma una pluralità di occhi:
40. Esiste soltanto un vedere prospettico, soltanto un «conoscere» prospettico; e quanti più affetti lasciamo parlare sopra una determinata cosa, quanti più occhi, differenti occhi sappiamo impegnare in noi per questa stessa cosa, tanto più completo sarà il nostro «concetto» di essa, la nostra «obiettività» (eKGWB/GM-III-12 [18]).
41. Il caos del moderno, dando l’accesso a molteplici esperienze, non è più sentito come un peso ma come presupposto di un potenziamento energetico, di un arricchimento della forma. La «felicità dello storico» viene così espressa nell’aforisma 17 di Opinioni e sentenze diverse:
42. Felicità dello storico. «Quando sentiamo parlare i cavillosi metafisici, abitatori di un mondo dietro le cose, noialtri sentiamo in verità di essere i “poveri di spirito”, anche però che nostro è il regno dei cieli del cambiamento, con primavera ed autunno, con inverno ed estate, e loro il mondo dietro le cose – con le sue grigie, gelide e infinite nebbie edombre». Così parlò a se stesso uno durante una passeggiata nel sole mattutino: uno, a cui nello studio della storia si trasforma sempre di nuovo non solo la mente, ma anche il cuore, e che, in contrapposizione ai metafisici, è felice di albergare in sé non «un’anima immortale», bensì molte anime mortali (eKGWB/VM-17).
43. La centralità di questo ego «Argo dai cento occhi» ha come conseguenza il superamento dell’egoismo legato alle valutazioni ed ai valori del gregge, un ego che senta in modo cosmico, «al di là di me e di te» (eKGWB/NF-1881,11[7]), capace di esercitare una giustizia per potenza, nella direzione quindi della virtù di Zarathustra. Inoltre comporta la necessità di una storia di ciò che finora non ha avuto storia, delle mille relazioni che hanno costituito la forma ricca di questo «io». In un frammento della primavera-autunno del 1881 (eKGWB/NF-1881,11[226]) troviamo unite queste considerazioni. Contro «il pregiudizio che si conosca l’ego, che esso non manchi di farsi sentire continuamente», in una sorta di immediata autocoscienza, pregiudizio che dispensa dall’applicarvi «lavoro e intelligenza», ci si ferma ad una sorta di egoismo debole, ancora indotto e tutto interno ai valori della società data (avidità, accumulazione di patrimoni, vanità, etc.).
44. Tali esigenze divengono programma di lavoro e di indagine per una storia con nuovi oggetti: le passioni, i sentimenti, le abitudini, «le differenti suddivisioni della giornata, le conseguenze di una regolare stabilizzazione del lavoro, della festività e del riposo» etc. «Fino ad oggi tutto quanto ha dato colore all’esistenza, non ha ancora avuto storia…» (eKGWB/FW-7).
45. Anche la prospettiva finale dell’aforisma 223 rimanda ad affermazioni di Emerson: «la conoscenza di sé diventa conoscenza del tutto in relazione a tutto il passato». È una ripresa del tema faustiano della dilatazione dell’esperienza fino al pericolo del naufragio: una concentrazione nell’attimo di tutte le forze del passato per una «determinazione del tutto in relazione a tutta l’umanità futura» (eKGWB/VM-223).
46. Mein Busen,der vom Wissensdrang geheilt ist, / Soll keinen Schmerzen künftig sich verschließen, // Und was der ganzen Menschheit zugeteilt ist, / Will ich in meinem innern Selbst genießen, // Mit meinem Geist das Höchst-und Tiefste greifen, / Ihr Wohl und Weh auf meinen Busen häufen // Und so mein eigen Selbst zu ihrem Selbst erweitern / Und,wie sie selbst,am End auch ich zerscheitern.
47. [Il mio cuore, guarito dalla febbre del sapere, non dovrà, per l’innanzi, chiudersi a nessun dolore. Voglio godere, nel mio intimo io, ciò che la sorte ha concesso a tutta l’umanità; afferrare col mio spirito, le cose più alte, le cose più profonde, raccogliere entro il mio petto il bene e il male dell’umanità, ed ampliare il mio proprio io entro quello di lei e, come lei, alla fine, andare anch’io in rovina!]. (G. W. Goethe, Faust, I, 1765-1774)
48. Nietzsche trova la conferma di questi temi in Schopenhauer: il «completo ripensamento della storia» che caratterizza l’epoca moderna, sarebbe un impulso verso «la genialità dell’umanità nel suo complesso», «autocoscienza cosmica», se la genialità si caratterizza appunto, secondo Schopenhauer, per il suo «ricordare in modo organico e vivo ciò che si è vissuto» (eKGWB/VM-185 [19]). Queste affermazioni di Nietzsche, che privilegiano, in una certa misura, ancora una finale autocoscienza, saranno presto oggetto di autocritica: nel corpo sarà inscritto e concentrato il passato con la sua complessità e con la sua storia molteplice:
49. Il corpo umano, in cui rivive e si incarna il passato prossimo e remoto di ogni divenire organico, il corpo attraverso il quale, al di sopra e al di là del quale sembra che scorra un immenso fiume invisibile […] (eKGWB/NF-1885,36[35])
50. Il residuo d’idealismo, su questo tema, trova alcune premesse ancora in Emerson che scrive: «La nuova posizione dell’uomo che avanza fruisce di tutti i poteri della vecchiaia; eppure essi sono per lui del tutto nuovi. Egli porta nel suo seno tutte le energie del passato, eppure è in lui l’alito del mattino[20]». Questa filosofia del mattino propria dello spirito libero, del viandante che trova «la sua gioia nel mutamento e nella transitorietà» si lega al senso ed alla responsabilità di essere eredi. La volontà di rinnovamento (Emerson si definisce in quello stesso saggio uno «sperimentatore») fa di questa eredità una ricchezza, non un peso.
51. Con la presenza diffusa di Emerson, con la sua energia aristocratica rivolta al nuovo, si prospettano in questo periodo ormai le immagini di Zarathustra. Scrive Emerson in un saggio in cui Nietzsche aveva trovato uno spunto per la figura di Zarathustra:
52. La storia è stata meschina; le nostre nazioni sono state delle plebaglie e noi non abbiamo mai visto un uomo; questa forma divina non la conosciamo ancora; abbiamo soltanto il sogno e la profezia di esso, noi non conosciamo le maestose maniere che gli sono proprie, che placano ed esaltano chi le contempli […]. Quel tanto di grandezza che è già apparsa, è l’inizio e l’incoraggiamento in questa direzione. (R. W. Emerson, Kreise [Circoli], in Versuche, cit., p. 354)
53. L’atteggiamento di Nietzsche è ben più complesso e sfumato, meno garantito dalla fede e dalla forte e ottimistica teleologia di Emerson. Il pericolo che il senso storico, un sentimento che ha molti colori, sia malattia moderna, senso della fine, memento mori mondanizzato, deve essere vinto (Nietzsche ha lottato fin dagli anni giovanili contro la fine della storia proposta in più modi filosofici dalla sua epoca[21]). Si tratta di trasformare attivamente il senso della decadenza in possibilità forti di un nuovo inizio, si tratta, sentendo la storia degli uomini come totalità, come la propria storia, di vincere il peso di un cumulo di afflizioni di ogni genere («è pericoloso essere eredi» perché secoli di errori pesano su noi e in noi: «da lungo tempo siamo esseri malformati», (eKGWB/Za-I-Tugend-2; eKGWB/NF-1881,11[182]<eKGWB/NF-1881,11[182]>]):
54. ed essere pur sempre ancora l’eroe che, allo spuntar di un secondo giorno di battaglia, saluta l’aurora e la sua felicità, essendo l’uomo che ha un orizzonte di millenni davanti e dietro di sé, l’erede di ogni tratto aristocratico di tutto lo spirito passato, erede gravato di obblighi; essendo il più nobile di tutti i nobili dell’antichità, e al contempo il capostipite di una nobiltà nuova, di cui nessun tempo vide e sognò l’eguale: prendere tutto questo sulla propria anima, il più antico come il più nuovo, le perdite, le speranze, le conquiste, le vittorie dell’umanità, possedere infine tutto ciò in una sola anima e tutto insieme stringerlo in un unico sentimento – questo dovrebbe avere come risultato unafelicità, che finora l’uomo non ha mai conosciuto: la felicità di un dio colmo di potenza e d’amore, di lacrime e di riso, una felicità, che, come il sole alla sera, non si stanca di effondere doni della sua ricchezza inestinguibile e li sparge nel mare, e come il sole, soltanto allora si sente assolutamente ricca, quando anche il più povero pescatore rema con un remo d’oro! Questo sentimento divino si chiamerebbe allora – umanità! (eKGWB/FW-337)