Nietzsche e la décadence

Mazzino Montinari

1. Lo studio filologico, e perciò storico, dell’opera di Friedrich Nietzsche produce la convinzione che il nome di Nietzsche non indichi soltanto una personalità, bensì un fenomeno per così dire molteplice, anzi un ente collettivo con le tre dimensioni temporali: prima di lui, insieme a lui, dopo di lui. Questo prima-insieme-dopo deve essere distinto proprio per potere essere collegato all’individualità. E quest’ultima risulterà sempre più tale, sempre più peculiare, quanto più si sarà riusciti a cogliere la posizione di Nietzsche nella tradizione, nel suo tempo e nel futuro che da lui prende le mosse (la cosiddetta ricezione).

2. Il mio tema oggi è legato al tempo di Nietzsche, ai contemporanei di Nietzsche, al fenomeno letterario-artistico e sociale della decadenza europea nella sua forma più avanzata, che è quella che Nietzsche conobbe da vicino: la decadenza francese. L’assimilazione della decadenza francese da parte di Nietzsche è la premessa del suo successo europeo, della diffusione fulminea del nietzscheanesimo in Europa tra il 1890 e il 1894, quando Nietzsche ancora viveva, ma come rottame umano, nelle tenebre di una follia che del resto lo aveva innalzato, o meglio allontanato, dalla sfera dell’umana realtà e trasportato, come Achille e gli altri eroi antichi, nelle Isole Beate nel mito che ben presto si formò intorno al suo nome.

3. Nietzsche dunque si era preparato per l’Europa. Il centro culturale di questa preparazione fu la Francia, fu Parigi, secondo le parole di Nietzsche medesimo: «la sede della più intellettuale e raffinata cultura europea, nonché l’alta scuola del gusto». In una Francia che, dopo il 1870, suo malgrado si stava germanizzando, «questa Francia dello spirito, che è altresì una Francia del pessimismo», nella quale «Schopenhauer ha finito per sentirsi più a casa sua e maggiormente a suo agio di quanto non lo sia mai stato in Germania; per non parlare di Heinrich Heine, che già da un pezzo è divenuto carne e sangue dei più sottili ed esigenti lirici parigini, o di Hegel, che sotto le sembianze di Taine […] esercita oggigiorno un ascendente quasi tirannico. Per quanto poi riguarda Richard Wagner, quanto più la musica francese imparerà a plasmarsi secondo le esigenze reali dell’âme moderne, tanto più si “wagnerizzerà”». Ad onta però della volontaria o involontaria germanizzazione, di cui egli ha appena parlato, nonché della plebeizzazione (il cui simbolo è Victor Hugo), la Francia può rivendicare a se stessa tre cose di cui andare orgogliosa: la passione della «forma», che si esprime nella formula dell’art pour lart e ha prodotto una sorta di «Kammermusik der Literatur» che invano si cercherebbe nel resto d’Europa; una grande cultura moralistica che giunge a raffinatezze di voluttà psicologica fin nei piccoli romanciers delle gazzette e ha trovato due generazioni prima il suo culmine in Stendhal, «l’ultimo grande psicologo francese»; infine la sintesi tra Nord e Sud: i Francesi sanno amare nel Nord il Sud e nel Sud il Nord, come mediterranei di nascita, come «buoni Europei» (JGB-254).

4. Ho citato sinora da un aforisma di Al di là del bene e del male, che sintetizza il giudizio di Nietzsche sulla cultura francese del tempo due anni dopo il primo incontro diretto (1883) con la Francia, su cui tornerò tra poco. Aggiungo ancora che, poche settimane prima del crollo psichico, Nietzsche riscrisse questo aforisma e lo inserì nel suo ultimo pamphlet antiwagneriano: Nietzsche contra Wagner, uscito poi nel 1889 (una pubblicazione postuma, perché dal gennaio di quell’anno egli, ricoverato nella clinica psichiatrica di Jena, non esisteva più). Qui Nietzsche sviluppa ancora l’accenno alla «germanizzazione» della Francia, rovesciando tuttavia il nesso originario: sono in realtà i migliori prodotti della Germania che erano già preparati per la Francia: Schopenhauer, per esempio, egli – Nietzsche – lo legge più volentieri in francese; in mezzo ai Tedeschi Schopenhauer fu un caso, un incidente, e un incidente, un caso analogo in mezzo a questo popolo è egli stesso, Nietzsche. Heine – l’adorable Heine, come si dice a Parigi – e le sue délicatesses sono inservibili al gusto dei germanici bestioni cornuti... E infine Wagner! No, non ci si lasci ingannare dalle sue meschinità antifrancesi: «per ogni conoscitore del movimento culturale europeo resta certo il fatto che il romanticismo francese e Richard Wagner si implicano reciprocamente nella maniera più stretta» (NW-Wohin). E anche Wagner in Germania non è che un malinteso.

5. Tornando ai francesi, questa volta (siamo come accennavo alla metà del dicembre 1888) Nietzsche scrive le sue pagine definitive:

6. Sono tutti quanti dominati fin negli occhi e nelle orecchie dalla letteratura – i primi artisti europei di formazione letteraria mondiale – per lo più gente che scrive e fa poesie essa stessa, gente che media e accozza insieme sensi e arti, tutti quanti fanatici dell’espressione, grandi scopritori nel regno del sublime, e anche in quello del brutto e dell’orrido, scopritori ancor più grandi nell’effetto, nella messa in scena, nell’arte delle vetrine, talenti tutti quanti ben al di là del loro genio –, virtuosi in tutto e per tutto, con misteriosi approdi a tutto ciò che seduce, attira, costringe, sconvolge, costituzionalmente ostili alla logica e alla linea retta, bramosi dell’inusitato, dell’esotico, del colossale, di tutti gli oppiacei dei sensi e dell’intelletto. In complesso una specie di artisti avventurosi fino alla temerarietà, splendidamente violenti, che volano e trascinano in alto, i quali dovevano innanzitutto insegnare al loro secolo – il secolo della massa – il concetto di «artista». Ma è una specie malata… (NW-Wohin)

7. Questa descrizione sintetica e simpatetica della letteratura critica e creativa della Francia contemporanea starebbe bene accanto a certe pagine della Carne,la morte e il diavolo di Mario Praz[1], la guida imperterrita di coloro che si avventurano nelle contrade abitate da gorgoni e meduse, vampiri e vampiresse dell’estetismo romantico, della decadenza europea. Nietzsche, insieme a Wagner e, prima ancora, a Heine, appartiene a quei tedeschi d’eccezione, a quei «malintesi», a quegli «incidenti» tra i tedeschi che si inseriscono legittimamente nella storia ottocentesca dell’âme moderne, e appunto in quella specie malata di scrittori di cui egli parla in Nietzsche contra Wagner. Ma alla quale egli stesso appartiene: «Con ottica di malato guardare a concetti e valori più sani, o all’inverso, dalla pienezza e sicurezza della vita ricca far cadere lo sguardo sul lavoro segreto dell’istinto della décadence – questo è stato il mio più lungo esercizio, la mia vera esperienza, l’unica in cui, se mai, sia diventato maestro» (EH-Weise-1).

8. Ma proprio questa capacità, questa maestria, questo lungo esercizio permisero a Nietzsche di cogliere il significato della cultura francese del tempo. Ancora in Ecce homo scrive: «credo solo alla cultura (Bildung) francese e tutto il resto che in Europa viene chiamato “cultura” mi sembra un equivoco, per non parlare della cultura tedesca…» e, dopo aver ricordato i grandi autori del passato (primi fra tutti Montaigne e Pascal), prosegue: «tutto questo non esclude che anche i Francesi recentissimi non possano essere per me una incantevole compagnia. Non vedo proprio in quale secolo della storia si possano pescare in una volta sola degli psicologi così curiosi e insieme così delicati, come quelli che si trovano oggi a Parigi: intendo, tanto per cominciare – perché non sono certo pochi – Paul Bourget, Pierre Loti, Gyp, Meilhac, Anatole France, Jules Lemaître, o, per segnalarne uno della razza forte, un latino autentico […], Guy de Maupassant» (EH-Klug-3). Ma è ancora una volta Wagner che in Ecce homo offre il destro a Nietzsche di esprimersi in modo inequivocabile sulla decadenza francese. Mi pare anzi che egli, nei paragrafi 5 e 6 del capitolo Perché sono così accorto, abbia detto la sua ultima parola su Wagner, in un modo che ne coglie la verità storica:

9. Un artista non può avere in Europa altra patria che Parigi: la délicatesse di tutti e cinque i sensi dell’arte, che l’arte di Wagner presuppone, la mano per le nuances, la morbosità psicologica, tutto questo si trova solo a Parigi. In nessun altro luogo c’è questa passione per i problemi della forma, questa serietà nella mise en scène – è la serietà parigina per eccellenza […]. Ma ho già spiegato a sufficienza […] quale luogo spetti a Wagner, e dove si trovino le sue più strette parentele: nel tardo romanticismo francese, in quella specie di artisti audaci ed esaltanti come Delacroix, come Berlioz, con un fond di malattia, di sostanziale insanabilità, tutti fanatici dell’espressione, virtuosi in tutto e per tutto… Chi è stato il primo sostenitore intelligente di Wagner? Charles Baudelaire, lo stesso che capì per primo Delacroix, quel tipico décadent nel quale si è riconosciuta tutta una generazione di artisti – e forse fu anche l’ultimo… (EH-Klug-5)

10. Si intenda «sostenitore intelligente di Wagner». E ancora dal paragrafo 6 queste parole sul Tristano:

11. Considero una grandissima fortuna esser vissuto al momento giusto e proprio in mezzo ai Tedeschi per trovarmi maturo per quest’opera: a tanto arriva la mia curiosità di psicologo. Il mondo è povero per chi non è mai stato abbastanza malato per godere di questa «voluttà dell’inferno»: qui è permesso, anzi è quasi obbligatorio, usare una formula da mistico (EH-Klug-6)

12. «Il mondo è povero per chi non è mai stato abbastanza malato per godere di questa “voluttà dell’inferno” (Wollust der Hölle)»: questa non è soltanto una formula da mistico, o piuttosto: questa formula è semplicemente la formula per eccellenza che in sé riassume tutto quel mondo fascinoso, ripugnante, cupo della decadenza tardoromantica, come abbiamo imparato a conoscerlo sotto la guida di Mario Praz.

13. Per Nietzsche la décadence non è solo un fenomeno letterario, bensì si estende nel 1887-88 a tutti gli aspetti della vita moderna: filosofia come decadenza, religione come decadenza, morale come decadenza, letteratura e arte come decadenza, politica come decadenza – sono altrettante rubriche che a partire da un certo momento si trovano a caratterizzare quel capitolo della progettata Volontà di potenza che all’inizio del piano del 1886 stava sotto il titolo di pessimismo, perdita di senso della vita, nichilismo. Alla fine Nietzsche sostituisce a «pessimismo» e «nichilismo» il termine, da lui sempre espresso in francese, di décadence. Perché il pessimismo non è un problema, bensì solo un sintomo: il nome giusto per esso è nichilismo; ma il nichilismo a sua volta non è la causa, bensì la logica stessa della décadence. Tale, nell’estate-autunno 1888, la formulazione più tarda e più matura del problema. Questa parola, décadence, è il veicolo che porta la filosofia di Nietzsche dentro la corrente generale, dentro quella omogeneità di sensibilità europea analizzata dal Praz per l’area inglese, francese e italiana. E questo è anche il primo veicolo della fortuna europea di Nietzsche, proprio perché, oltre ad avvertire i sintomi della décadence, sembra che il filosofo tedesco indichi una via d’uscita. In Gabriele d’Annunzio – per fare un esempio – certe formule vengono distaccate dalla vera e propria meditazione filosofica di Nietzsche, il cui flusso di pensiero non è in sé arginabile in formule semplicistiche o in parole d’ordine. L’attesa del superuomo profetizzato dal cenobiarca, di cui discorre la prefazione del Trionfo della morte[2], o la «volontà di potenza» come atteggiamento, sono formule posticce e di poco significato se riferite a una comprensione, o almeno appropriazione critica, del pensiero nietzscheano, e lo stesso accade per il dionisismo o il rinascimentalismo e via dicendo. Ciò non toglie che sia d’Annunzio prima ancora di leggere Nietzsche, sia tutti i suoi predecessori o ispiratori francesi o inglesi, non fossero fratelli di Nietzsche, non appartenessero tutti insieme alla stessa fase della sensibilità letteraria e filosofica, musicale (da Wagner a Mahler, da Bizet a Debussy) e artistica (da Böcklin a Klimt per restare nel Mitteleuropa) degli ultimi trent’anni del secolo scorso. In questo senso non contano tanto le cosiddette influenze o gli ancor cosiddetti plagi, bensì il medium comune in cui persone diverse vissero una stessa storia, così come contano le domande con cui una medesima Sfinge, la Sfinge dello sfacelo dei valori, abbrancò le sue vittime. «Il problema del valore della verità ci si è fatto innanzi – oppure siamo stati noi a farci innanzi a questo problema? Chi di noi è in questo caso Edipo? Chi la Sfinge?» (JGB-1).

14. II

15. Nell’autunno del 1888, ricevute le prime copie del Caso Wagner, Nietzsche ne fece inviare tre a Malwida von Meysenbug, perché lo aiutasse a trovare a Parigi un traduttore francese del suo pamphlet: «Questo scritto contro Wagner dovrebbe essere letto anche in francese. Addirittura è più facile tradurlo in francese che in tedesco […]. Questa estate avrei potuto farmi consigliare da M. Paul Bourget, che soggiornava nelle mie immediate vicinanze: ma egli non capisce nulla in rebus musicis et musicantibus: altrimenti sarebbe il traduttore più adatto per me» (BVN-1888,1126). Malwida reagì con una certa garbata durezza, da vecchia e fedele wagneriana quale era, e a proposito di Bourget scrisse: «Del resto qui [a Parigi] ci sono una massa di wagneriani, lo sono tutti i giovani musicisti e lo è anche Paul Bourget, che è stato persino a Bayreuth. Del resto costui è una persona in tutto e per tutto prigioniera della peggiore modernità, che ha messo vilmente il suo talento al servizio del gusto corrotto del pubblico e sotto l’etichetta del realismo sta immerso nelle malsane paludi della letteratura moderna a cui le caste, le pure Muse volgono con ribrezzo le spalle»[3]. La risposta di Nietzsche fu sgarbatissima e ancora più dura, anche se poi nella tragica euforia dei primi giorni del fatale gennaio 1889 egli le perdonava «perchè tanto aveva amato», come Kundry (BVN-1889,1248[4]). Ciò che qui ci interessa è la rottura simbolica, significativa, con la quintessenza dell’idealismo giovanile tipicamente tedesco, e per di più legato a un Wagner che non è certo quello del pamphlet, quello da collocare in Francia. Una rottura in un certo senso a favore della «corrotta modernità». La décadence, di cui inconsapevolmente Malwida parlava, non poteva e non doveva, secondo il Nietzsche del 1888, essere arrestata; non è possibile tornare indietro, si deve invece andare avanti, «voglio dire un passo dopo l’altro più in là nella décadence […]. Si può intralciare questo sviluppo e, intralciandolo, arginare, concentrare, rendere più veemente e più improvvisa la degenerazione stessa: di più non si può». Così ancora nel Crepuscolo degli idoli (GD-Streifzuege-43), insieme a L’anticristo una delle due ultime opere filosofiche di Nietzsche.

16. L’incontro di Nietzsche con Bourget era avvenuto cinque anni prima, nell’autunno del 1883, e precisamente attraverso la lettura degli Essais de psychologie contemporaine[5]; a questi saggi Nietzsche deve il suo dibattito con la décadence europea e francese. Un dibattito che si svolge dapprima in termini ancora allusivi – ma già molto precisi, se si conoscono quei testi –; poi, quando dall’inverno 1887-88 fino alla fine della vita cosciente indirizzerà la diagnosi sul pessimismo e sul nichilismo verso il terreno della degenerazione fisiologica, Nietzsche utilizzerà pubblicamente e deliberatamente la parola décadence come sinonimo di modernità e causa del nichilismo/pessimismo. Un segnale di questa evoluzione nell’uso del termine décadence lo troviamo già in una lettera della metà d’aprile del 1886 al musicista Carl Fuchs. Qui si tratta della musica di Wagner: «La parte – egli scrive – diventa sovrana sul tutto, la frase sulla melodia, l’attimo sul tempo (über die Zeit – auch über das tempo), il pathos sull’ethos (o sul carattere, sullo stile che dir si voglia), infine l’esprit sul senso, sul significato. Mi perdoni! Ciò che io credo di percepire è un mutamento di prospettiva: si vede con troppa perspicuità il particolare, mentre la totalità si offusca, – e si vuole questa musica, soprattutto si ha il talento necessario per farla! Ma questa è décadence, una parola che come è naturale tra noi non vuol esprimere biasimo, ma semplicemente una definizione» (BVN-1886,688). La definizione della décadence torna nel 1888 (due anni dopo la lettera a Fuchs), nel Caso Wagner: «Da che cosa è caratterizzata ogni décadence letteraria? Dal fatto che la vita non risiede più nel tutto. La parola diventa sovrana e spicca un salto fuori dalla frase, la frase usurpa e offusca il senso della pagina, la pagina prende vita a spese del tutto, – il tutto non è più tutto. Ma questa è l’allegoria di ogni stile della décadence» (WA-7). Fin dal 1893 fu notata la dipendenza di questo passo del Caso Wagner dalla descrizione dello stile decadente che si trova nel saggio di Bourget su Baudelaire: «una stessa legge governa lo sviluppo e la decadenza di quell’altro organismo che è il linguaggio. Uno stile di decadenza è quello in cui l’unità del libro si decompone per lasciar posto all’indipendenza della pagina, dove la pagina si decompone per lasciar posto all’indipendenza della frase e la frase per lasciar posto all’indipendenza della parola[6]».

17. Il libro di Bourget era uscito alla fine del 1883 e Nietzsche lo lesse quasi subito, durante il suo primo soggiorno a Nizza[7]. Fin da questa lettura egli annotò per se stesso: «Stile della decadenza in Wagner: la singola espressione diventa sovrana, la subordinazione e coordinazione diventano casuali. Bourget, p. 25» (NF-1883,24[6]). Ed era precisamente questa la pagina dei saggi di Bourget che conteneva il passo di cui ci siamo occupati.

18. Ai primi di dicembre del 1883 Nietzsche aveva detto addio a Genova, l’amata città di Colombo; il passaggio a Nizza era dovuto alla sua ricerca instancabile, anzi scientifica, di località che gli permettessero di vivere passabilmente data la dipendenza del suo «metabolismo» dai fattori climatici, in primo luogo cielo sereno, aria secca e limpida[8]. Nizza, che altrimenti non corrispondeva come città ai suoi gusti, aveva questi requisiti. Ma Nizza volle dire quasi impercettibilmente anche una sempre crescente dimestichezza con le ultime novità del mercato librario francese. La biblioteca postuma di Nietzsche, frammenti del Nachlaß, e – in misura minore – le lettere (Nietzsche non usava dir molto sulle sue letture nello scrivere agli amici), indicano a partire dall’inverno 1883-84 un aumento notevole della lettura di libri francesi. Certo Montaigne e Pascal, Stendhal (Nietzsche è il primo stendhaliano illustre tra i tedeschi) e Mérimée (per non parlare dei sempre citati moralisti classici), e persino Sainte-Beuve o Renan appartenevano già alle conoscenze letterarie di Nietzsche sulla Francia. Ma non sono più i classici quelli che gli interessa conoscere ora, o solo in piccola misura lo sono ancora: è invece quella specie malata di cui egli parlerà poi in Ecce homo, sono i moderni critici, i romanzieri alla moda; i poeti come Baudelaire e qualche prodotto di una Francia della Restaurazione come Astolphe de Custine, questo critico romantico del capitalismo, e il glorioso monumento del memoriale di Sant’Elena, la inquietante corrispondenza di Balzac: ma sono soprattutto il Journal dei Goncourt e i loro quadri e romanzi (tra questi Renée Mauperin,Charles Demailly,Germinie Lacerteux,Manette Salomon), e i romanzi di Bourget stesso insieme ai Nouveaux Essais, le opere critiche di Brunetière e Scherer, le lettere di Flaubert e George Sand, il Nabab e Sapho di Daudet, scritti di Léon Cladel (amico di Baudelaire e di Bourget), le Oeuvres posthumes di Baudelaire, lette al loro primissimo apparire, i saggi critici di Prevost-Paradol e di Barbey d’Aurevilly, quelli di Paul Albert e di Fromentin, di Jules Lemaître, le opere storiche e filosofiche di Taine, di Guyau, di Fouillée e Roberty, quelle fisiologiche di Charles Richet e Charles Féré (i cui riflessi si colgono soprattutto nel fisiologismo degli ultimi scritti di Nietzsche[9]). A ciò si deve aggiungere la lettura di riviste e giornali come la Revue des deux Mondes e il Journal des Débats. Ma queste sono soltanto reliquie fin qui accertate di una assimilazione forse ben più vasta e profonda, in ogni caso da approfondire con la ricerca, che su questo, come su altri aspetti che ci sono, è ancora ai primordi[10]. Importanti scoperte francesi di questi anni sono infine le lettere del nostro abate Galiani, Ma religion di Tolstoi e Dostoevskij, anch’egli letto in francese.

19. Voglio ancora ricordare, tra i libri letti da Nietzsche, L’évolution naturaliste di Louis Desprez, una sorta di bilancio del movimento naturalista, che uscì nel 1884[11], un anno ancora oggi considerato decisivo dagli storici della letteratura francese, l’anno alla vigilia del quale uscirono i saggi di Bourget (peraltro pubblicati prima nel 1876 come una serie di articoli della Vie littéraire[12]), ma l’anno soprattutto di À rebours di Karl Joris Huysmans[13]. In questo romanzo ciò che Bourget aveva descritto come stato d’animo, come sensibilità della società intellettuale, la décadence, diventava programma di vita. Esso infatti contiene tutti i motivi della decadenza letteraria, ne è la summa, ne è il manifesto. Ogni possibile illusione ottimistica viene qui liquidata: Schopenhauer è il filosofo di des Esseintes, il protagonista del romanzo che vive contro corrente, contro natura. Dopo una vita di eccessi morali e fisici egli si costruisce un mondo artificioso: ama le orchidee perché somigliano ai fiori artificiali, perché in esse la natura imita al meglio le piaghe della sifilide. I suoi scrittori sono i latini della decadenza: i classici, come Orazio e Virgilio, li trova stantii. I suoi idoli tra i moderni sono Baudelaire, i Goncourt (soprattuto La Faustin), Flaubert (Le tentazioni di S. Antonio) e Barbey d’Aurevilly, insieme ad altri autori cattolici. Più grandi di tutti sono, per Huysmans, Paul Verlaine e Stéphane Mallarmé, allora poco conosciuti. Huysmans veniva dalla scuola di Zola, era appartenuto alla corrente naturalistica, ma in lui il pessimismo, l’impavido realismo, la predilezione per i lati brutti, orridi, repellenti della vita si erano trasformati e condensati in una misantropia che trovava tutto banale, idiota e ridicolo. In un certo senso Huysmans era la riduzione all’assurdo del naturalismo. Del resto Zola stesso aveva detto una volta: «Mi piacciono i ragouts letterari fortemente drogati, le opere della decadenza, dove una sorta di sensibilità morbosa sostituisce la sensibilità rigogliosa delle epoche classiche[14]». In questa direzione andavano anche i Goncourt, i cui romanzi cominciarono a essere letti e prediletti all’incirca dal 1876. Non è accertato se Nietzsche abbia letto Huysmans; egli ne ebbe certamente notizia attraverso i saggi, ad esempio, di Jules Lemaître[15], ma non è nemmeno decisivo che egli lo abbia letto. Nietzsche conosceva per sue letture dirette i Goncourt, Barbey d’Aurevilly, Baudelaire e tanti altri, ma la cosa più importante e veramente decisiva è che egli viveva dentro quell’atmosfera, avendo in se stesso le premesse della décadence. «Io sono, tanto quanto Wagner, il figlio di questo tempo, voglio dire un décadent», si legge nella Prefazione al Caso Wagner (WA-Vorwort).

20. In questo stato d’animo francese, Nietzsche poteva scrivere nell’autunno del 1884: «Un mondo che tramonta è un godimento non solo per lo spettatore (ma anche per il distruttore). La morte non è soltanto necessaria; “brutta” non lo è abbastanza, vi è grandezza, vi sono sublimità di ogni genere in un mondo che tramonta. Anche dolcezza, anche speranze e crepuscoli. L’Europa è il mondo che tramonta» (NF-1884,26[434]).

21. E suggerimenti insoliti poteva trarre dal Journal dei Goncourt; questo, per esempio:

22. Chi consideri senza pregiudizi le condizioni mediante cui si raggiunge qui in terra una qualche perfezione, costui non mancherà di notare quante cose singolari e imbarazzanti si trovino tra tali condizioni. Sembra che per ogni grande crescita occorra un qualche concime e letame. Per citare un caso paradossale, il duca di Morny [fratello naturale di Napoleone III e suo ministro degli interni], questo espertissimo e «vissutissimo» conoscitore di donne tra i francesi degli ultimi tempi, sosteneva, con un’autorevolezza che forse non dovrebbe essere sottovalutata per quanto attiene alla scabrosa questione di come la donna moderna possa raggiungere la perfezione, che a questo fine può servire finanche un vizio, cioè la tribaderie: «qui raffine la femme, la parfait, l’accomplit» (NF-1887,11[26][16])

23. E infine, chi era quel Catulle Mendès, cui Nietzsche alla fine della vita cosciente (il 2 gennaio 1889) dedicò i Ditirambi di Dioniso[17]? Nietzsche lo aveva conosciuto personalmente a Tribschen nel 1870 insieme a un altro esponente della décadence, Villiers de l’Isle-Adam, che era cattolico come Barbey. Mendès era il genero di Théophile Gautier, uno dei padri della decadenza francese (la moglie Judith Gautier, lei stessa scrittrice, fu tra l’altro implicata in una storia d’amore col vecchio Wagner). In uno dei suoi romanzi, Zo’ har del 1886, Mendès svolge un tema prediletto della decadenza, quello dell’incesto: fratello e sorella vengono sedotti dalla musica di un balletto[18]. Ma due anni prima, nel 1884, un altro romanziere, Elémir Bourges, aveva trattato nel suo Le Crépuscule des Dieux lo stesso tema, legando però l’incesto ad una esecuzione della Walkiria[19]. Tutti ricorderanno a questo punto la novella di Thomas Mann, Wälsungenblut, scritta vent’anni dopo (e naturalmente c’è anche stato chi ha parlato di plagio). Nietzsche poi, nel frammento su Wagner che abbiamo citato[20], annotava nell’inverno 1883-84: «Wagner – culto francese dell’orrido e della grande opera, Parigi e la fuga in condizioni di vita primordiali. L’incesto» (NF-1883,24[6]). Sullo sfondo di questa annotazione del 1884 e di ciò che si è appena accennato sui temi preferiti dalla décadence letteraria, assumono un valore più concreto quelle pagine del Caso Wagner, scritte quattro anni dopo, in cui Nietzsche tra l’altro osserva:

24. Le eroine wagneriane […] non appena si sia tolta loro la scorza eroica, sono così simili a Madame Bovary da poter essere scambiate con quest’ultima – come pure è comprensibile, all’inverso, che Flaubert potesse tradurre la sua eroina in scandinavo o cartaginese e offrirla quindi, così mitologizzata, a Wagner come libretto. Insomma sembra che Wagner non si sia interessato se non dei problemi che oggi interessano i piccoli décadents parigini. Sempre a quattro passi dall’ospedale! Nient’altro che problemi moderni, problemi assolutamente da grande città (WA-9)

25. Le eroine wagneriane non sono capaci di avere figli, nota infine Nietzsche, e soggiunge: «la disperazione con cui Wagner ha affrontato il problema di far nascere Siegfried» (frutto dell’adulterio incestuoso tra Sieglinde e Siegmund: non la saga ma Wagner ha escogitato questo tratto radicale, annota ancora Nietzsche) è «una spia di quanto fosse moderna la sua sensibilità su questo punto».

26. Ho sottolineato fin qui la linea decadente, o se preferite debole, del dibattito di Nietzsche con la cultura francese negli anni tra il 1883 e il 1888. L’ho fatto perché penso che la consapevolezza in proprio che Nietzsche ha di far parte egli stesso della decadenza europea gli permetterà di essere terribilmente attuale, aggiornato, al passo col suo tempo: gli permetterà cioè la fama, e contribuirà in tal modo alla formazione del suo mito squisitamente cosmopolita ed europeo. C’è però in Nietzsche medesimo il contromovimento, che egli di volta in volta oppone ai vari sintomi della décadence, anche nei piani per la Volontà di potenza. Così del resto scriveva a Peter Gast dopo aver cominciato a leggere il secondo volume del Journal dei Goncourt:

27. È apparso il secondo volume del Journal dei Goncourt: la novità libraria più interessante. Riguarda gli anni 1862-65; vi sono descritti nel modo più plastico i famosi diners chez Magny, quei diners che erano due volte al mese il punto di ritrovo di quella che allora era la banda di spiriti più intelligenti e scettici a Parigi (Sainte-Beuve, Flaubert, Théophile Gautier, Renan, i Goncourt, Scherer, Gavarni, talora Turgenev, ecc.). Pessimismo esasperato, cinismo, nichilismo, che si alternavano alla allegria più sfrenata e al buon umore; credo che anche io non sarei stato male in mezzo a loro – conosco questi signori a memoria, tanto che per la verità mi son già venuti a noia. Bisogna essere più radicali: in fondo a tutti costoro manca la cosa principale: «la force» (BVN-1887,948)

28. E la «force» stava in Francia, per Nietzsche, in una linea che si contrapponeva a quella di Hugo: Flaubert, Sand, Goncourt, Sainte-Beuve, Renan; la linea di Stendhal, Merimée, Barbey d’Aurevilly e in parte anche Taine. Ma come separarli davvero dai loro fratelli decadenti? Come credere di «giungere al qualcosa partendo dal nulla» che era anche di Taine? Al superamento della decadenza? Nietzsche non ha risposto a questa domanda; tuttavia per l’appunto molti decadenti l’hanno fatto rispondere, con le loro vacue declamazioni sul superuomo, sulla volontà di potenza, sul dionisismo e via delirando, o meglio recitando.

29. Nella vecchia edizione delle lettere di Nietzsche a Elisabeth Förster-Nietzsche troviamo sotto la data 17 settembre 1888 un passo assai singolare, che converrà citare:

30. Mi accorgo con una certa preoccupazione di avervi fatto inviare in questi giorni quel saggio di psicologia musicale di cui parlavo nell’ultima lettera. Ho paura che vi farà male, in particolare al Lama che resta fedele negli affetti e nelle venerazioni e che quando si sposò scelse come data il 22 maggio. Ma intendimi bene, mia cara sorella, Wagner è e rimane un fatto capitale nella storia dello spirito europeo e dell’anima moderna: allo stesso modo in cui Heinrich Heine lo è stato. Wagner e Heine sono i nostri ultimi grandi, di cui la Germania ha fatto dono all’Europa. Ma che effetto farà al tuo Bernhard il mettere l’uno accanto all’altro questi due nomi?

31. Abbiamo qui davanti uno di quei prodotti della fucina di falsificazioni epistolari della sorella di Nietzsche. In questo caso Elisabeth adoperò un frammento traendolo da uno dei quaderni preparatori del Caso Wagner: «Wagner è un fatto capitale nella storia dello spirito europeo, dell’anima moderna: allo stesso modo in cui Heinrich Heine lo è stato. Wagner e Heine: i due maggiori impostori che la Germania abbia donato all’Europa» (NF-1888,16[41]).

32. Constatiamo, dunque, che invece che di ultimi grandi Nietzsche ha parlato di grandi impostori («i due maggiori impostori»). Ma che cosa vuol dire in questo caso la parola impostore in bocca a Nietzsche? Lo ha scritto egli stesso:

33. Che l’uomo veritiero valga più del mentitore, nell’economia dell’umanità, sarebbe pur sempre da dimostrare. Gli uomini veramente grandi e potenti sono stati finora degli impostori: la loro missione volle questo da loro. Posto che risultasse che vita e avanzamento siano possibili solo a patto che noi veniamo ingannati a lungo e con coerenza, allora l’impostore coerente potrebbe giungere ai massimi onori, come colui che condiziona e promuove la vita (NF-1885,40[44])

34. Nella tradizione illuministica dell’occidente gli impostori, i grandi impostori sono sempre tre (per esempio: Mosè, Cristo e Maometto), e può venire il dubbio che Nietzsche intendesse con la sua sottile arte delle affermazioni ambivalenti mettere se stesso come terzo nella serie dei grandi impostori di cui la Germania aveva fatto dono all’Europa. Questa è una tesi probabilmente paradossale, anzi essa non coglie, come è evidente se si leggono le ultime proclamazioni di Nietzsche – quelle in cui egli chiede di non essere frainteso –, tutto il pensiero di Nietzsche; per esempio, come scrive a Malwida von Meysenbug il 18 ottobre 1888: «Wagner fu un genio della menzogna, io invece ho l’onore di essere qualcosa di opposto – un genio della verità» (BVN-1888,1131[21]). Ma se, come abbiamo fatto oggi, spostiamo la nostra attenzione sulle assimilazioni della décadence da parte di Nietzsche, allora anche questo elemento di impostura ci sembrerà importante e ineliminabile.

35. Tanto è vero che in un libriccino non abbastanza noto nella Nietzsche-Forschung e che è dovuto a uno degli spettatori contemporanei della fortuna e del formarsi del nietzscheanesimo letterario – parlo di Leo Berg e del suo scritto Der Übermensch in der modernen Literatur, ein Kapitel zur Geistesgeschichte des 19. Jahrhunderts, uscito a Monaco nel 1897, dunque nel pieno fiorire della fama di Nietzsche –, si legge:

36. Nietzscheano è oggi chi trent’anni fa era Wagneriano e sessant’anni fa Heiniano, insomma tutti coloro che in qualche modo sono stati seguaci di qualcuno: lo stesso tipo di persona, la stessa specie di «cornuti Sigfridi», di discepoli bisognosi di salvezza con l’esigenza di elevarsi al di sopra della normale umanità[22].

37. Ma attenzione! Sulla copertina del libro di Berg troviamo un bellissimo disegno, di Thomas Theodor Heine, che poi divenne celebre come disegnatore del «Simplicissimus», un disegno che ben riassume anche il senso della mia tesi sulla décadence come premessa della fortuna di Nietzsche in Europa: una scimmia che tiene innanzi al muso una maschera di leone.

[1]Cfr. Mario Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Soc. Editrice «La Cultura», Milano-Roma 1930 [NdR].
[2]«Noi tendiamo l’orecchio alla voce del magnanimo Zarathustra, o Cenobiarca; e prepariamo nell’arte con sicura fede l’avvento del Uebermensch, del Superuomo» (Gabriele d’Annunzio, «A Francesco Paolo Michetti», prefazione al Trionfo della morte (1894), Fratelli Treves Editori, Milano 18967, pp. V-XI; p. XI). La fascinazione dannunziana per Nietzsche è manifesta fin dal frontespizio del libro, in cui è riportato – in originale tedesco – uno stralcio dell’aforisma 30 di Al di là del bene e del male: «Es giebt Bücher, welche für Seele und Gesundheit einen umgekehrten Werth haben, je nachdem die niedere Seele, die niedrigere Lebenskraft oder aber die höhere und gewaltigere sich ihrer bedienen: im ersten Falle sind es gefährliche, anbröckelnde, auflösende Bücher, im anderen Heroldsrufe, welche die Tapfersten zu ihrer Tapferkeit herausfordern», eKGWB/JGB-30 [NdR].
[3]Cfr. la lettera di Malwida von Meysenbug a Nietzsche della metà di ottobre del 1888, in KGB  III/6, p. 330 [NdR].
[4]Sul nesso istituito da Nietzsche tra la von Meysenbug e il personaggio del Parsifal wagneriano Kundry cfr. anche le lettere a Heinrich Köselitz del 25 novembre 1888 e a Cosima Wagner del 25 dicembre 1888 (eKGWB/BVN-1888,1157 e 1211) e, indirettamente, Ecce homo, «Il caso Wagner», 4 (eKGWB/EH-WA-4). Per una puntuale ricostruzione della questione cfr. Giuliano Campioni, «“Kundry che ride”. Nietzsche contra l’“idealista” Malwida von Meysenbug», in Francesco Cattaneo, Stefano Marino (a cura di), Da quando siamo un colloquio. Percorsi ermeneutici nell’eredità nietzscheana, Aracne, Roma 2011, pp. 37-57 [NdR].
[5]Paul Bourget, Essais de psychologie contemporaine, A. Lemerre, Paris 1883 [NdR].
[6]Ivi, p. 25. Il testo del 1893 cui Montinari si riferisce è Wilhelm Weigand, Friedrich Nietzsche: ein psychologischer Versuch, H. Lukaschik, München 1893 [NdR].
[7]Due anni prima di uscire in volume, il saggio di Bourget su Baudelaire era stato pubblicato sulla Nouvelle Revue: P. Bourget, «Psychologie contemporaine. Notes et Portraits: Charles Baudelaire», Nouvelle Revue, 3 (1881), pp. 398-416 (il passo citato da Montinari qui è reperibile a p. 413). Bourget aveva cominciato a occuparsi dei temi poi sviluppati negli Essais fin dal 1876: cfr. P. Bourget, «Notes sur quelques poètes contemporains», Le Siècle littéraire, 12/13 (1876), pp. 265-273. Nel 1878, sul settimanale La Vie littéraire, era inoltre uscito in tre parti P. Bourget, «Genèse du roman contemporain», La Vie littéraire, 15 e 22 agosto, 5 settembre 1878 [NdR].
[8]Sull’interesse di Nietzsche per la climatologia medica e sulle sue relative letture di testi di meteorologia cfr. Gregory Moore, «Nietzsche, Medicine and Meteorology», in G. Moore, Thomas H. Brobjer (a cura di), Nietzsche and Science, Ashgate Publishing, Aldershot 2004, pp. 71-90 [NdR].
[9]Molti testi degli autori qui menzionati da Montinari sono conservati nella biblioteca di Nietzsche: per un inventario completo cfr. G. Campioni, Paolo D’Iorio et al. (a cura di), Nietzsches persönliche Bibliothek, Walter de Gruyter, Berlin 2003 [NdR].
[10]Nei trent’anni trascorsi da questo contributo la ricerca auspicata da Montinari si è effettivamente approfondita: tra i diversi lavori pubblicati sul tema della ricezione nietzscheana della cultura francese si segnala in particolare G. Campioni, Les lectures françaises de Nietzsche, PUF, Paris 2001. In lingua italiana, e con specifico riferimento alla décadence, cfr. almeno Franco Volpi, «Sulla fortuna del concetto di “décadence” nella cultura tedesca: Nietzsche e le sue fonti francesi», Filosofia politica, 9 (1995), pp. 63-82 [NdR].
[11]Louis Desprez, L’évolution naturaliste, Tresse Éditeur, Paris 1884, conservato nella biblioteca di Nietzsche (cfr. G. Campioni, P. D’Iorio et al. (a cura di), Nietzsches persönliche Bibliothek, cit., p. 184) [NdR].
[12]Probabilmente qui Montinari intende Le Siècle littéraire; come precisato sopra, infatti (cfr. nota 7), riguardo tali temi Bourget aveva pubblicato su La Vie littéraire nel 1878 [NdR].
[13]Joris Karl Huysmans, À rebours, G. Charpentier & C.ie, Paris 1884 [NdR].
[14]Émile Zola, «Germinie Lacerteux, par MM Ed. et J. De Goncourt», in Id., Mes Haines: causeries littéraires et artistiques (1866), Achille Faure, Paris 18792, pp. 67-68. L’articolo era già uscito sul quotidiano Le Salut public de Lyon il 24 febbraio 1865 [NdR].
[15]Cfr. Jules Lemaître, «J. K. Huysmans», in Id., Les Contemporains, 1e série, H. Lecène, H. Oudin, Paris 1886, pp. 311-335, conservato nella biblioteca di Nietzsche (cfr. G. Campioni, P. D’Iorio et al. (a cura di), Nietzsches persönliche Bibliothek, cit., p. 346) [NdR].
[16]Nietzsche cita da Edmond e Jules de Goncourt, Journal des Goncourt. Mémoires de la vie littéraire, II, G. Charpentier & C.ie, Paris 1887, p. 114. Il testo è conservato nella biblioteca di Nietzsche: cfr. G. Campioni, P. D’Iorio et al. (a cura di), Nietzsches persönliche Bibliothek, cit., p. 260 [NdR].
[17]In realtà 1° gennaio: cfr. eKGWB/BVN-1889,1234 e 1235 [NdR].
[18]Catulle Mendès, Zo’ har. Roman contemporain, G. Charpenter & C.ie, Paris 1886 [NdR].
[19]Élémir Bourges, Le Crépuscule des Dieux. Mœurs contemporaines, E. Giraud & C.ie, Paris 1884 [NdR].
[21]In realtà qui Wagner non è nominato: Nietzsche si riferisce a lui definendolo «pagliaccio» (Hanswurst), come aveva già fatto (accostandogli Liszt) ne Il caso Wagner, «Epilogo» (cfr. eKGWB/WA-Epilog). L’intento è evidentemente provocatorio, considerato che la sua lettera risponde a quella (peraltro già sopra ricordata: cfr. nota 3) della metà di ottobre del 1888 in cui la von Meysenbug, dopo aver ricevuto e letto il libro, aveva protestato contro l’epiteto: «Der Ausdruck: “Hanswurst” für Wagner und Liszt ist ganz abscheulich» (cfr. KGB III/6, p. 330) [NdR].
[22]Leo Berg, Der Übermensch in der modernen Literatur, ein Kapitel zur Geistesgeschichte des 19. Jahrhunderts, A. Langen, Paris-Leipzig 1897, p. 102 [NdR].